Il presbitero nell’esperienza della formazione del clero

Desideriamo comunicarvi che Presbyteri organizza per Lunedì 6 maggio 2019 dalle 09.30 alle 17,30 un Convegno sul ruolo del presbiterio nella formazione permanente. Per offrire una riflessione teologico-pastorale e un confronto a più voci sull’essere presbiterio e sulla sua centralità nella formazione.
Troverete in allegato tutte le informazioni necessarie.

Il raduno sarà presso l’Istituto Pastristico Augustinianum auditorium “Minor” Via Paolo VI, 25 Roma.

Convegno Maggioweb Presbyteri

Papa Francesco a Loreto

Loreto (Ancona), 25 marzo 2019 – Tutte le campane della Marche suonano a festa, all’unisono, per abbracciare il Santo Padre che, terminato l’Angelus e pellegrino tra i pellegrini, attraversa la folla festante in attesa da ore. E’ piena di emozioni la giornata marchigiana di Papa Francesco: dalla firma del documento per i giovani all’abbraccio ai malati, dal richiamo al matrimonio uomo-donna al bagno di folla per le via di Loreto.

Chiesa reale, storica, attuale, non ideale

Il discorso si volge alla Chiesa reale, non alla sua idea, non a una Chiesa spirituale, bensì a quella storica, attuale. La Chiesa non è affatto un’idea che possa essere progettata a priori, e su cui ci si possa ritirare, quando la realtà fallisca. In fondo non vi è alcuna filosofia della Chiesa: essa si presenta piuttosto come una realtà unica. La sua condizione è analoga a quella d’un uomo: se qualcuno dicesse che il suo assenso, l’approvazione, non vale affatto per l’essere concreto dell’amico, bensì per la sua idea, gli farebbe ingiustizia. Sì, sarebbe sleale verso di lui; poiché è la personalità dell’amico che esige si consenta alla sua realtà esistenziale, ovvero la si rinneghi. Il sì o il no, la lotta o la fedeltà – non però nell’intendimento d’astrarre dalla realtà, per amore dell’idea: sarebbe metafisicamente falso, in quanto costituirebbe un disconoscimento dell’importanza decisiva della personalità, la quale impedisce di farne semplicemente un caso individuo dell’universale. E sarebbe eticamente illecito, poiché equivarrebbe a porre al posto di quell’atteggiamento, che si richiede dalla persona, quello ben diverso che è adatto di fronte ad una cosa. Appunto tale è l’assurdità di una distinzione tra realtà ed idea della Chiesa. Vi e è però a questo proposito tanto più stringente la necessità di un’altra distinzione. Ci si deve chiedere: riesce ad apparire la forma essenziale, la perfezione interiore della Chiesa nella sua manifestazione esteriore nel tempo? Sono operanti le energie essenziali della Chiesa attraverso le sue espressioni di vita visibile? L’interiorità del suo essere si inserisce percepibilmente negli uomini che formano la Chiesa? Qui nessuno si può sentire esentato dal dare risposta, perché essa lo riguarda personalmente.
Quando si sia riconosciuto che la Chiesa nella sua reale essenza è rivestita di valore e rimane ognora una via e una forza atta a farci pervenire al compimento del nostro destino, ciò ci riempirà innanzitutto di un profondo senso di gratitudine, non ci concederà tuttavia per nulla il diritto di collocarci in essa a nostro agio, bensì si muterà in una istanza: poiché la parabola dei talenti [cfr. Mt 26,15; Lc 19,13] vale anche per i nostri rapporti con la Chiesa. Noi siamo gravati di una responsabilità in rapporto ad essa, ciascuno a suo modo, il sacerdote in virtù dell’Ordine, il laico attraverso la Cresima. Dipende da ciascuno di noi con quanta larghezza e profondità contribuiamo a determinarla nel suo essere e nel suo manifestarsi, nel suo interno e nel suo esterno.

Da Romano Guardini, Il senso della Chiesa, Morcelliana, Brescia, 2007, pp.106-107

La Cei: continuiamo a prestare la nostra voce a chi ne è privo

Gli occhi sbarrati e lo sguardo vitreo di chi si vede sottratto in extremis all’abisso che ha inghiottito altre vite umane sono solo l’ultima immagine di una tragedia alla quale non ci è dato di assuefarci.
Ci sentiamo responsabili di questo esercito di poveri, vittime di guerre e fame, di deserti e torture. È la storia sofferta di uomini e donne e bambini che – mentre impedisce di chiudere frontiere e alzare barriere – ci chiede di osare la solidarietà, la giustizia e la pace.
Come Pastori della Chiesa non pretendiamo di offrire soluzioni a buon mercato. Rispetto a quanto accade non intendiamo, però, né volgere lo sguardo altrove, né far nostre parole sprezzanti e atteggiamenti aggressivi. Non possiamo lasciare che inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determinino le nostre risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto. Animati dal Vangelo di Gesù Cristo continuiamo a prestare la nostra voce a chi ne è privo. Camminiamo con le nostre comunità cristiane, coinvolgendoci in un’accoglienza diffusa e capace di autentica fraternità. Guardiamo con gratitudine a quanti – accanto e insieme a noi – con la loro disponibilità sono segno di compassione, lungimiranza e coraggio, costruttori di una cultura inclusiva, capace di proteggere, promuovere e integrare.
Avvertiamo in maniera inequivocabile che la via per salvare la nostra stessa umanità dalla volgarità e dall’imbarbarimento passa dall’impegno a custodire la vita. Ogni vita. A partire da quella più esposta, umiliata e calpestata.

LA PRESIDENZA DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
Tratto da Avvenire 20/07/2018.

«La pace in Centrafrica è un sogno possibile»

La «suora coraggio» sfida la guerra coi libri

«Togliamo dalle mani dei bambini i fucili e sostituiamoli con i libri». È il motto della “suora coraggio”, come hanno soprannominato suor Maria Elena Berini, religiosa della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, 74 anni, originaria di Sondrio. Missionaria in Africa dal 1972, la religiosa è stata insignita del premio internazionale “donne di coraggio 2018” attribuito ogni anno dal Dipartimento di Stato Usa. E suor Maria Elena di coraggio ne ha parecchio. In Centrafrica da undici anni – dopo altri 35 anni trascorsi in Ciad –, la religiosa s’è trovata in prima linea nella guerra che dal 2012 dilania la nazione. «A Bocaranga, una cittadina del Nord di 15mila abitanti dove risiedo con altre cinque consorelle, a volte, i gruppi di ribelli e- scono dalla savana e attaccano i villaggi vicini», racconta. La missione ha subito due feroci assalti. Il primo nel febbraio 2017, il secondo nel settembre scorso. «Uno dei combattenti, d’un tratto, si fermò e mi disse: “Ti uccido”. Gli risposi: “Uccidimi, sono qui, non ho paura”. Si voltò e andò via sbattendo la porta. Non so come mi fosse venuta quella frase. Interiormente pregavo il Signore e Lui mi ha ispirato e continua a farlo nei momenti difficili, che purtroppo sono tanti ». Le bande armate controllano l’80 per cento del territorio. Il governo di Faustin-Archange Touadéra ha difficoltà ad imporre la propria autorità fuori dalla capitale, Bangui. «Si respira un clima di perenne insicurezza, di angoscia, di paura. Eppure, come comunità, non ci stanchiamo di testimoniare che è possibile vivere insieme». In un contesto dove la differenza etnica e religiosa è manipolata per fomentare conflitti che hanno per oggetto le enormi risorse della nazione, le missionarie di Bocaranga combattono la loro battaglia pacifica per la convivenza. A colpi di penna e quaderno. «La scuola è l’antidoto al fondamentalismo, alla paura dell’altro. L’educazione apre le menti alla conoscenza, alla cultura, al rispetto delle diversità, al dialogo », afferma suor Maria Elena che, insieme alle consorelle, gestisce un istituto per 1.300 bimbi e assicura una formazione completa, dall’asilo alle superiori. La frequentano alunni di ogni gruppo etnico e di differenti confessioni cristiane: i musulmani sono dovuti fuggire all’inizio del conflitto per i raid delle milizie anti-Balaka. «Vogliamo insegnare, nel quotidiano, che il diverso non è un nemico. Che la religione non divide, al contrario. È il mezzo per avvicinarsi a Dio insieme, ciascuno con le proprie convinzioni». Non è facile, data la martellante campagna d’odio promossa dalle bande armate.
«Questo Paese, però, non smette di sorprenderci. Il popolo centrafricano, nonostante il suo lungo Calvario, sa ricominciare sempre. È stupenda la capacità dei poveri di rinascere ». Proprio nel nome di questo “popolo martire”, suor Maria Elena ha accettato e ricevuto l’onorificenza statunitense lo scorso 23 marzo, dalle mani della first lady Melania Trump.
«Quando ho ricevuto la prima email, pensavo si trattasse di uno scherzo. Poi mi hanno chiamato per spiegarmi. Mi sono sentita indegna. Tante donne nel mondo mostrano il loro coraggio aiutando, combattendo per i diritti dei poveri, soffrendo e spesso donando la vita. Perché dovevano premiare proprio me? Ho voluto accogliere, dunque, questo riconoscimento in rappresentanza della congregazione a cui appartengo che mi ha permesso di vivere in pieno il nostro carisma: “Amare Cristo e i poveri in terra d’Africa”. E della gente del Centrafrica, autentica maestra di coraggio».

Tratto da Avvenire 06/05/2018, articolo di LUCIA CAPUZZI