Direttore spirituale e psicoterapia

La vita pone sempre e inevitabilmente problemi che si è chiamati a risolvere, non è un’autostrada pacifica, ma un sentiero irto di difficoltà, spesso faticoso, a volte noioso altre volte entusiasmante.
La vita è imprevedibile, non programmabile proprio negli ambiti che ci stanno più a cuore e sono i maggiormente decisivi (es. l’affettività, la ricerca di senso…). Ci sono momenti di grande sofferenza che rischiano di far perdere il filo dell’esistenza.
La guida spirituale si pone come aiuto in questi frangenti. È di stimolo nella ricerca del cammino più vero, delle scelte più giuste da compiere. Suo compito sta nel presentare alla persona i valori trascendenti in modo che nella libertà essa li riconosca come buoni e validi.

Al Direttore Spirituale si richiedono alcune qualità:
1. una concezione positiva dell’uomo capace di intravedere possibilità ed energie talvolta inespresse e nascoste.
2. abbia fatto un cammino di conoscenza di sé e di accettazione al fine di evitare una percezione distorta dei problemi altrui.
3. abbia sviluppato una vita affettiva il più possibile equilibrata al fine di evitare dannosi transfert, proiezione, attese indebite, o peggio voler utilizzare la persona al fine di soddisfare i propri bisogni. Una sana affettività invece è capacità di promuovere la libertà dell’altro, la sua autonomia.
Perché una relazione di aiuto a livello spirituale sia efficace sono richieste tre disposizioni ritenute importanti per la sua efficacia:
– l’autenticità: non bisogna nascondersi dietro al ruolo, dietro una maschera. E’ la libertà di essere se stessi che scaturisce da una visione positiva dell’uomo e dalla fiducia che Dio è Padre che accoglie incondizionatamente ciascuno di noi. La mancanza di autenticità genera un “doppio linguaggio” contraddittorio e improduttivo.
– una seconda disposizione è l’accoglienza fiduciosa dell’altro: dare alla persona la sensazione di essere accolta, ascoltata, accettata per quello che è, non giudicata o catalogata. Solo l’accettazione è capace di creare un clima di fiducia, apertura, collaborazione, responsabilità.
– L’empatia: consiste nella capacità di ascoltare il significato globale della comunicazione dell’altro (verbale e non). Percependo non solo il contenuto materiale bensì quello più decisivo che è quello emozionale della comunicazione.

Circa le funzioni che assolve la guida spirituale:
– Facilitare: chi chiede aiuto vive una situazione interiore spesso confusa e disorientata. Primo compito della guida è quello di aiutare l’individuo a raggiungere una più chiara coscienza di sé e della sua situazione.
– Valutare: chi chiede aiuto non riesce il più delle volte a dare un giudizio obiettivo a situazioni personali problematiche. Sarà importante presentare norme oggettive e criteri oggettivi di valutazione pur tuttavia nella consapevolezza che non possono bastare da sole a determinare il valore del comportamento. La valutazione per essere autentica dovrà scaturire dalla coscienza stessa della persona che sente di dover far sua la norma oggettiva al fine di perseguire il suo vero bene.
– Orientare: dopo che la persona ha esplorato il suo vissuto interiore, lo ha valutato ecco che la guida è chiamata ad aiutare la persona a porre decisioni in vista dell’orientamento del suo futuro, tramite progressive scelte sempre più impegnative.

Sarebbe un errore far equivalere l’azione della guida spirituale a quella dello psicoterapeuta. Si è d’accordo sul fatto che la guida spirituale non può prescindere da ciò che è il contributo delle scienze dell’uomo e in modo particolare la psicologia e la psicoterapia.
Tuttavia tra direttore spirituale e psicoterapeuta esiste una netta differenza: gli obiettivi e i metodi sono diversi, seppure convergenti in quanto mirano alla crescita della persona verso la sua piena maturità.
Il ruolo del padre spirituale implica la fede nei mezzi soprannaturali, cosa che la psicoterapia non può fare. Implica pure una dottrina e una visione antropologica che non può rimanere in uno stadio di “benevola neutralità”.
Inoltre mentre nella psicoterapia si presentano persone sono disturbate e sofferenti psico-logicamente, nella direzione spirituale non è detto che lo siano.
Quindi le due azioni sono da vedere non in antagonismo ma come convergenti e complementari e questo appare sempre più necessario quando si prende sempre più coscienza del fatto che l’equilibrio e la salute integrale dell’uomo non può prescindere da una intrinseca apertura alla trascendenza che troppo spesso in passato, da parte delle scienze umaniste, è stato se non negato esplicitamente tutt’al più ritenuto opzionale e insignificante.

La defusione dei pensieri

Oggi parliamo di “defusione cognitiva” In sintesi si tratta della capacità di accorgerti che “stai pensando” (meta-cognizione) o meglio della capacità di renderti conto che quella macchina che ti “parla in testa” si è attivata… e di farlo in un modo molto particolare.
La defusione cognitiva è una metodologia nata in campo della terza ondata della psicoterapia cognitivo-comportamentale (ACT). Le ricerche fatte in questo campo hanno fatto luce su altre metodologie della crescita personale, come la PNL. Che attraverso la manipolazione delle così dette “sottomodalità” ci defonde dai nostri pensieri.
La defusione dei pensieri e l’accettazione delle emozioni che ad essi si collegaci aiutano a rimanere sempre ancorati al fatto in quanto tale, per quello che è, e non per quello che la mente ci dice che sia.
Questo semplice “defonderci” o “disidentificarci” è la chiave per iniziare a depotenziare tutti quei pensieri, giudizi, critiche ecc. che solitamente diciamo a noi stessi, e molto spesso anche agli altri.
Questi “giudizi” sono la chiave per vivere in modo cieco la realtà… più giudichi ciò che ti circonda e più diventi cieco ai reali aspetti sensoriali della situazione.
È un fenomeno che hai provato più volte, ad esempio vai a vedere un concerto, inizi a dare giudizi sul chitarrista e questo, ti rovina tutta la performance. Facciamo lo stesso con noi stessi, continuiamo a giudicarci, a costruire piani di azione nel futuro, a rimpiangere il passato ecc.
Non c’è niente di male in tutto questo, il nostro cervello si è evoluto così! Perché la maggior parte della gente, lasciata a se stessa, nel proprio pensiero, tende a costruire scenari disastrosi? O a farsi seghe mentali sul futuro?
Ok, ci sono i media che ci riempiono la testa di cavolate terribili, ma oltre a questo il vero motivo è un altro. Perché fino a poche centinaia di anni fa, i nostri antenati dovevano fare costantemente i conti con imprevisti negativi.
Epiteto diceva: “Non sono le opinioni che abbiamo sugli eventi che ci capitano a farci stare male, ma il fatto che noi crediamo ciecamente a quelle opinioni”.
“Questo computer pensante” è costantemente attivo e formula pensieri… è difficile controbatterlo con altri pensieri! Se ad esempio pensi “sono uno sfigato” dirti che “non è vero perché sei un vincente” non sempre può funzionare.
Come direbbe Einstein “non puoi risolvere un problema allo stesso livello che lo ha generato” e nel nostro caso il livello è il pensiero. Un buon modo per superarlo è trovare un altro livello. Si tratta di un livello non-concettuale ma più somatico, da cui osservare i tuoi pensieri.
L’incontro fra pratiche meditative e cognitivi-comportamentali si gioca su un concetto la meta-cognizione, cioè l’abilità di renderti conto dei tuoi pensieri.
Lo so sembra un gioco di parole, ed il modo migliore per farlo è sempre quello legato alla mindfulness, ma ne esiste uno ancora più facile e maggiormente alla portata di mano di chi ama la crescita personale.
Queste tecniche, prese dalla ACT, hanno numerosi studi a loro conferma. Uno di questi “giochini” sono presi dagli studi di Steven Hayes . Che si fondano proprio su come funziona il nostro linguaggio.
Meta-cognizione non significa altro che renderti conto dei tuoi pensieri e nel nostro esercizio non ci limitiamo a questo, ma devi anche identificartiti per una ventina di secondi… perché?
Per evitare la trappola dell’evitamento esperienziale una volta che sei riuscito ad accorgerti che ti stai giudicando, sei già defuso da quel contenuto. Ora puoi provare invece “a credere con tutto te stesso a quelle parole” ma solo per qualche istante per poi ri-defonderti.
Ti avviso questo termine de-fusione, è un neologismo, non esiste in italiano ma credo che sia molto esplicativo. Se ad esempio scopri di dirti spesso “sei una merdaccia” (stile Fantozzi), ogni volta che noti questi pensieri potresti dire a te stesso… “eccolo lì, ancora Fantozzi”. In altre parole trovare un modo soft ma ironico di commentare il tuo pensiero negativo. Ancorarsi al reale può contribuire a farci avanzare civilmente nel futuro.

Cfr. https://www.psicologianeurolinguistica.net/2014/12/gestire-pensieri.html

Rimugino… rumino… rimugino… rumino…

Capita a tutti di pensare troppo al passato e al futuro. Spesso passiamo la maggior parte della nostra vita a coltivare queste due “grandi illusioni” distraendoci dalla vita stessa. Il passato è andato mentre il futuro ancora non esiste. Eppure, nonostante sia sicuro che condividiamo tutti questa riflessione, mi chiedo: perché facciamo così fatica a ridurre rimuginio e ruminazione?
Come cambiare questa malsana attitudine mentale?
Il rimuginio è dato da un elaborare a lungo nella mente con insistenza e in modo quasi ossessivo; riflettere a lungo su un fatto esaminandolo sotto tutti gli aspetti. Essere introspettivi è importante, ma a volte scivoliamo nell’esagerazione. Quando rimuginiamo ci ripetiamo mentalmente quali sono le cose che vanno male o che qualcosa di brutto potrebbe accadere da un momento all’altro, ma lo facciamo con assoluta mancanza di dettaglio e di legame con la oggettiva realtà. L’evento o gli eventi temuti rappresenterebbero per noi un danno irreparabile ma, spesso, non siamo in grado di rappresentarci in cosa consisterebbe la “catastroficità” dell’evento. Diamo per scontato che, se si verificasse l’evento che temiamo sarebbe un’immane tragedia ma non siamo in grado di ipotizzare esiti alternativi, forse, meno catastrofici e, magari, più realistici.
Chi rimugina tende ad attribuire al rimuginare delle funzioni positive, degli scopi vantaggiosi. In questo modo rafforza il rimuginio e spiega a se stesso la sua tendenza a rimuginare.
Il rimuginio e la ruminazione sono tendenze della mente che, se non gestite al meglio, possono portarci ad un certo livello di sofferenza. La mente è lo strumento più importante che abbiamo, essa definisce la nostra percezione, ci permette di comprendere ciò che ci circonda e di crearci una, più o meno, chiara percezione di esso. Riuscire a usare la mente è, quindi, uno dei compiti che dobbiamo consolidare sempre più, se vogliamo riuscire ad avere un controllo della nostra vita è una comprensione maggiormente accurata della realtà. Ruminazione e rimuginio spesso operano costringendo la mente a cicli ricorsivi in se stessa, continuamente alla ricerca di un senso, continuamente afflitta da pensieri; ciò impedisce di raggiungere pace e serenità.
Imparare a controllare la mente e a definire i suoi spazi è una delle conquiste importanti che possiamo raggiungere nella vita. Anzitutto serve un allenamento, costante e quotidiano. Rimuginio e ruminazione nascono essenzialmente da una pratica legata all’ansia che nasce dalla convinzione di non avere tutte le risposte necessarie da poter risolvere una determinata situazione. L’ansia è strettamente legata all’assenza di autostima. L’ansia continua a portare ad alcuni fatti del passato (ruminazione) e a possibilità del futuro (rimuginio), ciò, se fatto in modo continuo, conduce semplicemente all’affaticamento della mente. Continuare a pensare alle stesse cose vuol dire, di fatto, sprecare tempo, energia e risorse. La mente, affaticata si trova nella condizione di non riuscire più ad affrontare con lucidità le situazioni della vita.
Oltre a questo il continuo pensare ricorsivamente alle stesse cose, porta la struttura della mente a logorarsi a stancare le reti neurali che sostengono il pensiero, e facilitano sempre più naturalmente l’emergenza.
Per l’ormai famoso teorema di Hebb: “I neuroni che vengono attivati insieme tenderanno a riattivarsi insieme”, ogni volta che proviamo i soliti pensieri, attiviamo zone del cervello che tenderanno a riattivarsi con sempre maggiore facilità, e così, lo stesso sistema nervoso prenderà a prendere i soliti sentieri. Il nostro cervello si allena giorno dopo giorno a funzionare sulla base delle nostre esperienze di stress, affaticamento, di situazioni particolarmente difficili che ci costringono a iper-vigilanza ed eccesso di pensieri, inevitabilmente portano il nostro sistema nervoso a funzionare in questo modo. Questo è uno dei motivi che possono far scaturire un eccesso di pensieri. Altri sono, ad esempio, eventi traumatici non risolti che ci inducono in uno stato prolungato di allerta; la morte inaspettata di una persona cara; la fine di un rapporto in cui abbiamo investito molto; la perdita di un lavoro, eccetera. Ma avendo un pensiero ruminante e rimuginante e come costringere la mente a essere sempre in situazioni limite e all’erta. Un esempio: si brucia lo stufato, rumino, rumino, rumino, colpevolizzandomi, degradandomi, annullandomi… la mente coglie questo come se cogliesse un trauma peggiore, non fa distinzioni se non sa legarsi alla realtà e concretezza. Esasperiamo un po’ mediante questo esempio quasi paradossale, ma spesso accade questo. Detto in altri modi, se il pensiero ritorna continuamente su se stesso, riattivando pensieri irrisolvibili, configurandosi scenari futuri, specie irreparabili, lentamente conduce ad affaticamento, una forma di iper-pensiero spesso riscontrato in alcune forme depressive. Non a caso, rimuginio e ruminazione, si associano spesso ai casi di depressione maggiore e spesso vengono letti come segni precursori di un repentino abbassamento dell’umore. Per assurdo, come spesso accade, nei disturbi d’ansia, un’azione volta per aumentare il controllo ci costringe in realtà a perderlo. L’obiettivo di una accompagnamento diventa così quello di riportare un controllo reale sul pensiero, di rendersi conto delle motivazioni o credenze più profonde che lo sostengono, degli apprendimenti passati non più utili. Interrompere il rimuginio deve essere uno dei primi obiettivi di un rapporto di aiuto dal momento che l’attività rimuginativa è un elemento che, il più delle volte, alimenta e mantiene in vita la sofferenza mentale. Il trattamento del rimuginio passa necessariamente attraverso la “ristrutturazione” delle convinzioni positive o negative della persona.

Alcuni suggerimenti utili per non rimuginare o ruminare, potrebbero essere:

  • Testimonia te stesso, cioè sii consapevole, contestualizza il pensiero formulandolo, legandolo alla concretezza della vita.
  • Chiediti se sono utili alcuni pensieri e se aiutano a migliorare se stessi perché funzionali alla propria crescita; in altre parole, bisogna rilevare quanto questi ci rappresentano.
  • Porta all’eccesso un pensiero (effetto paradosso) ciò aiuta un po’ all’autoironia e a vedere che le situazioni non sono poi così gravi, ma potrebbero essere peggio.
  • Chiediti se determinati pensieri ruminanti possono cambiare la situazione, se sono utili ed efficaci o, al contrario inutili e inefficaci. Frase importante che puoi dire, anche in una preghiera è l’affermazione di un teologo statunitense: Signore, dammi la serenità di conoscere ciò che non posso fare, dammi il coraggio di cambiare ciò che posso cambiare e la saggezza di distinguere tra i due.
  • Impara a compiere una azione senza aspettarsi nulla, né di positivo né di negativo.
  • Impara a dare un limite ai tuoi pensieri, un tempo preciso: pensa alla situazione ma per tot minuti esempio: 10 minuti; ma dopo basta ci ripenserai un’altra volta.
  • Sii consapevole, formula un pensiero e contestualizzalo, non deve essere ne vago ne generico.
  • Impara a meditare e controllare i pensieri portandoli al presente e al concreto.
  • Scrivere i tuoi pensieri ripetitivi per poterli meglio discernere.
  • Fai attività che ti fanno star bene e che mettono in dialogo e relazione con gli altri.

Effetto Pigmalione

Vorrei riflettere su un fenomeno che, a volte, si realizza nella vita di relazione. L’effetto Pigmalione. Il nome deriva da un episodio della mitologia greca. Pigmalione era uno scultore e re di Cipro che si innamorò della sua stessa scultura. Galatea. Pigmalione realizzò una statua così bella da innamorarsene. Accecato dall’amore, chiese alla dea Afrodite di far sì che la statua acquisisse sembianze umane così da poterla sposare. La dea Afrodite, osservando tutto ciò, decise di dare vita alla creazione di Pigmalione permettendogli così di realizzare il suo sogno d’amore.
L’effetto Pigmalione è conosciuto anche con il nome di “profezia auto-avverante” o come effetto Rosenthal dal nome dello psicologo tedesco che per primo parlò di questo fenomeno. Robert Rosenthal condusse, con la sua equipe un esperimento sottoponendo alcuni bambini di una scuola elementare a un test d’intelligenza. Dopo il test, in modo casuale, vennero selezionati alcuni bambini ai cui insegnanti fu fatto credere che avessero un’intelligenza sopra la media.
La suggestione fu tale che, quando l’anno successivo Rosenthal si recò presso la scuola elementare, dovette costatare che, in effetti, il rendimento dei bambini selezionati era molto migliorato e questo solo perché gli insegnanti li avevano influenzati positivamente con il loro atteggiamento, inconsapevoli del fatto che fosse tutto legato alla suggestione.
Sapendo che funziona così, conoscendo l’influenza del nostro punto di vista sugli altri, non varrebbe la pena di sforzarsi a pensare sempre bene di chi ci circonda? Anche quando conoscessimo difetti o mancanze di chi incontriamo, non sarebbe meglio scegliere di prestarvi meno attenzione e pensare e parlare di loro sempre positivamente? Questo potrebbe forse aiutare. No? In fin dei conti staremmo forse meglio anche noi.
In psicologia l’effetto Pigmalione è considerato come la capacità che il punto di vista delle persone ha di plasmare l’altro. Se ci pensi questo accade ogni giorno in molte delle relazioni della nostra vita. Il punto di vista che gli altri hanno su di noi e il nostro sugli altri ci influenza continuamente. Si tratta di una forma di suggestione psicologica per cui le persone tendono a conformarsi all’immagine che altri individui hanno di loro, sia essa un’immagine positiva che negativa.
L’effetto Pigmalione può attivarsi anche nei rapporti tra dipendenti e datori di lavoro o in tutti quei casi in cui si sviluppino rapporti sociali. Ogni individuo riesce a essere trattato e considerato così come si aspetta che gli altri lo facciano.

Interessante! non credete?

Defusione dei pensieri

La defusione dei pensieri, vale a dire il non lasciarsi agganciare da eventi interni, ma apprendere a notare i pensieri distinguendoli dalla realtà, e l’accettazione delle emozioni che ad essi si collega ci aiutano a rimanere sempre ancorati al fatto in quanto tale, per quello che è, e non per quello che la mente ci dice che sia.
Ma cosa succede quando ci “fondiamo” con i nostri pensieri, immagini mentali, previsioni più o meno pessimistiche? Iniziamo a credere che questi corrispondano alla realtà e guardiamo al mondo attraverso di essi, come attraverso un filtro che altera il modo in cui vediamo le cose. Molti dei significati che emergono da questa fusione coi pensieri non ci aiutano a vivere pienamente, anzi, ci fanno credere che ci sia qualcosa di preoccupante, spaventoso, minaccioso da cui difendersi. Sappiamo che di fronte ad una potenziale minaccia la complessità delle nostre menti ci consente di trovare soluzioni creative, di risolvere problemi, di rispondere agli ostacoli che si frappongono tra noi e i nostri obiettivi.
In questi tempi difficili pieni di news false, di miti infondati e di violenza contro ciò che riteniamo “diverso e nemico”, ancorarsi al reale può contribuire a farci avanzare civilmente nel futuro.